AIEM è stata costituita e cresce grazie al sostegno di socie e soci che vivono quotidianamente le difficoltà formative e lavorative di chi ha scelto di voler esercitare una delle professioni più interessanti legate all’ambito dei beni culturali e del patrimonio.
Per noi educatrici ed educatori museali è consuetudine districarsi tra corsi di formazione poco strutturati o costosi, piccole collaborazioni a progetto, basse retribuzioni, contratti di lavoro inappropriati e sfruttamento di ogni tipo. Superare queste condizioni di lavoro, considerate la normalità, è uno dei nostri grandi obiettivi. Per tali ragioni abbiamo pensato di avviare un’indagine sulla figura professionale dell’educatore museale, la prima in Italia, e raccogliere dati utili per avere un quadro quanto più possibile chiaro e rivendicare con forza le nostre istanze. Così, dal 23 settembre al 18 dicembre del 2021, abbiamo reso pubblico un questionario da noi redatto dal titolo: rivolto a chi conduce e/o progetta attività di educazione e mediazione (visite museali, percorsi, attività laboratoriali creativi) nelle diverse sedi culturali, sia pubbliche che private.L’educatore museale: formazione e professione La raccolta dati si è conclusa con 463 risposte che delineano una situazione abbastanza critica e al tempo stesso avvilente. Condizioni e stati d’animo sono confermati anche dalle tante testimonianze anonime che ci sono arrivate tramite una risposta aperta dove abbiamo invitato gli intervistati a raccontarci le proprie esperienze in questo specifico campo professionale e lavorativo.
Grazie ai dati raccolti, resi pubblici in una conferenza stampa online andata in onda sul canale YouTube dell’associazione, sappiamo che la maggior parte di chi si occupa di educazione e mediazione al patrimonio è di genere femminile e ha in media tra i 25 e i 35 anni. Quella dell’educatore museale è una professione che richiede una profonda conoscenza dell’ambito in cui si opera, come dimostrano gli studi degli intervistati: il 44% del totale ha infatti conseguito una laurea magistrale o a ciclo unico e una considerevole percentuale di professionisti ha partecipato anche a corsi post lauream come master di I e II livello, scuole di specializzazione o dottorati. Proprio questa indispensabile necessità di specializzazione spiega la bassa percentuale di educatrici ed educatori under 24, ovvero la fascia d’età meno rappresentata nei grafici ricavati dai nostri dati.
Abbiamo inoltre potuto rilevare una decisa coerenza tra ambito di studi e ambito di lavoro: in entrambi i casi prevale il settore storico-artistico seguito da quello archeologico e delle arti visive.
Questa è stata per AIEM una grande occasione per stimolare una riflessione relativa ai luoghi e agli ambiti lavorativi nei quali possiamo operare come educatori museali e al patrimonio. Non solo musei, non solo gallerie, ma anche parchi naturalistici, aree protette, parchi archeologici, biblioteche e archivi; sono presenti anche realtà culturali legate all’ambito scientifico, tecnologico, naturalistico, storico e letterario. In questo senso possedere competenze trasversali e provenire da ambiti di studio differenti costituisce un punto di forza, poiché consente di legare la propria formazione alla tipologia di raccolta presso cui si lavora. Significa, quindi, offrire un servizio professionale di qualità derivante dall’esperienza sul campo, ma anche da studi specifici e di settore.
Anche se altamente formati le educatrici e gli educatori museali, oggetto della nostra indagine, vivono le proprie esperienze lavorative attraverso formule di sfruttamento e precariato, come del resto tutte le figure professionali impegnate nel settore dei beni culturali.
Cooperative ed enti privati si spartiscono la maggior parte dei contratti e questo può anche essere un riflesso del fatto che molti educatori museali si riuniscono a loro volta in cooperative o associazioni per poter lavorare o collaborare con gli istituti sia statali che privati.
Alla domanda: Che tipo di contratto o collaborazione lavorativa hai/avevi? la risposta più frequente che occupa più del 33% è la collaborazione tramite partita IVA, a seguire troviamo i contratti a tempo indeterminato e la prestazione occasionale o ritenuta d’acconto. Fa riflettere il fatto che se si sommano i casi precari o a termine, la cifra che si ottiene supera di gran lunga quella che rappresenta i contratti più stabili. Degno di nota è anche il 6,3% delle risposte che segnala casi di lavoro senza alcun contratto.
Abbiamo anche chiesto alle educatrici e agli educatori museali quali CCNL sono stati applicati nel corso della loro carriera lavorativa. Nonostante esista un Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro specifico per i lavoratori del settore culturale, il Federculture (siglato nel 1999), questo viene applicato solo nel 12,5% dei casi. Prevale il Multiservizi (36,9%), seguito poi dal contratto Commercio, Terziario, Distribuzione e Servizi. Solo l’8,9% lavora degli intervistati con la pubblica amministrazione, una percentuale bassissima.
Per chi non ha un contratto l’alternativa per poter lavorare è la libera professione e l’apertura della partita IVA, che figura però come una condizione obbligata per il 70,7% dei casi. Il mancato riconoscimento giuridico della nostra professione genera non solo sfruttamento e precariato, ma confusione e difformità anche per i codici ATECO utilizzati da educatori ed educatrici al patrimonio. Grazie a un’indagine interna avviata tra i soci e le socie AIEM abbiamo raccolto, tra chi esercita la professione come liberi professionisti, ben otto codici ATECO differenti. Vi riportiamo due esempi abbastanza significativi poiché lontani dalla classificazione della nostra professione: il codice 96.09.09 che viene applicato a chi esercita Altre attività di servizi per la persona nca e il 93.29.90 codice ATECO che comprende tutte le Altre attività di intrattenimento e di divertimento.
Di grande interesse per la nostra indagine era entrare nel merito dell’organizzazione dei servizi educativi nelle diverse sedi di lavoro. Conoscendo le politiche di gestione delle attività nei luoghi della cultura in Italia non ci ha sorpreso scoprire che nella metà dei casi i servizi educativi sono esternalizzati, dati in appalto a enti privati; solo poco più del 25% è internalizzato, mentre il 23% ha una gestione ibrida.
Situazione questa che si trascina da decenni, da quando nel 1993 venne concepita e promulgata la cosiddetta legge Ronchey che si porta dietro una lunga serie di problematiche mai seriamente affrontate come: la questione contrattuale, salariale e non da meno il problema della qualità dei servizi offerti. Certo è che la gestione interna delle attività di educazione e mediazione dà continuità e conoscenza sempre più approfondita del patrimonio così come dei pubblici e delle comunità che ne usufruiscono, garantendo per i lavoratori una stabilità contrattuale e retributiva. La gestione ibrida delle attività spesso nasce quando i lavoratori esternalizzati vengono richiesti dagli istituti culturali solo in periodi di maggior affluenza dei visitatori, delle scolaresche o per progetti specifici e temporanei.
Questa grande varietà di trattamenti porta ad una fisiologica disparità anche nei guadagni. Il 37,7% dei partecipanti al questionario riceve infatti una cifra compresa tra meno di 4 euro e 12 euro lordi l’ora. Allo stesso tempo ci sono anche lavoratori che per svolgere le stesse mansioni sono pagati tra i 30 e i 50 euro l’ora.
Una differenza troppo grande per passare inosservata, anche e soprattutto a fronte della quantità e della qualità delle mansioni proprie della professione: gli educatori museali si occupano di tutti gli aspetti utili alla mediazione del patrimonio ai pubblici più diversi, dalla conduzione di visite guidate e laboratori alla progettazione, comunicazione e accessibilità delle collezioni. Eppure è emerso che queste non sono le sole mansioni realmente portate avanti dagli educatori poiché molto spesso, a causa della carenza di personale, devono occuparsi anche di attività proprie di altre professioni come: la guardiania, l’accoglienza, la gestione del bookshop e finanche le pulizie. Se si considera poi il dato relativo al guadagno annuo lordo derivante dalle sole attività legate all’educazione museale, emerge chiaramente che nella maggior parte dei casi analizzati questo non supera i 5000 euro. È da questa preoccupante situazione che nascono alcuni dei commenti raccolti con l’ultima domanda del questionario: “Bellissimo lavoro, che però non permette di mantenersi”; “Presso la mia azienda le attività didattiche non vengono retribuite diversamente rispetto al solo lavoro di biglietteria e mi sembra inammissibile”; “ Non ho colleghi che fanno solo questo lavoro, perché è pagato troppo poco”.
Formazione e aggiornamento costituiscono una parte integrante del nostro mestiere, così come la progettazione delle attività è ritenuta a tutti gli effetti una delle fasi di lavoro più importanti e quindi dovrebbe essere giustamente retribuita. Eppure solo il 25,6 % dichiara di essere pagato regolarmente per la progettazione delle attività (non viene retribuito in questa fase ben il 46,1%). La situazione è addirittura peggiore se esaminiamo i dati relativi formazione e aggiornamento. Nel 72,6% dei casi i corsi di formazione e aggiornamento non sono retribuiti dai datori di lavoro, ma gravano totalmente sullo stipendio degli educatori stessi già abbastanza incerto.
In una situazione, la nostra, da sempre precaria si è sentito pesantemente l’effetto della gestione dell’emergenza Covid-19, che ha fatto crollare le già instabili fondamenta che reggevano questo sistema fatto di lavoro povero e sfruttamento. Difficoltà registrate anche nella nostra inchiesta, difatti molti educatori museali hanno visto ridurre drasticamente il proprio lavoro, si sono registrati casi di cassa integrazione e non rari sono stati i licenziamenti. Come le chiusure e restrizioni legate al Covid-19 mettano a dura prova il futuro dell’educazione museale e di esercita la professione sono state analizzate anche in questo articolo di Finestre sull’Arte.
In conclusione possiamo dire che la nostra indagine è riuscita a fotografare con dati certi la situazione che ci aspettavamo di trovare. Ha sicuramente consentito di mettere l’accento sui punti di forza e sulle fragilità attualmente presenti nelle condizioni formative e lavorative degli educatori e delle educatrici museali e costituisce un punto di partenza imprescindibile da cui trarre riflessioni, condivisioni e linee guida per le azioni future.